Il Fatto Quotidiano del 3 settembre 2020 di Domenico De Masi
Agli inizi del 2019 i poveri assoluti in Italia erano quasi cinque milioni. Poi, con il Reddito di cittadinanza, il 60% ha ottenuto il sussidio previsto e il parametro che valuta il livello di disuguaglianza (il coefficiente Gini) è sceso dell’1,2 per cento mentre l’intensità del tasso di povertà è calato dal 38 al 30%.
Altrove si sarebbe gridato al miracolo e ci si sarebbe proposti come modello al resto d’Europa. Da noi, come se niente fosse stato, chi fin da prima era contrario al provvedimento ha continuato a chiederne l’abolizione con insistenza autistica. Intanto tutta la galassia di sinistra, e persino le varie Caritas e le varie Sant’Egidio, non hanno avuto l’intelligenza di contrapporre a questa protervia neo-liberista la corale difesa di una delle poche azioni veramente di sinistra (insieme al decreto Dignità e alla battaglia per estromettere i Benetton) che siano state realizzate in Italia da una ventina d’anni a questa parte.
Ora, con la pandemia, le famiglie che già avevano un reddito basso e un lavoro precario hanno perso il lavoro e, costrette all’isolamento, non hanno avuto nulla su cui contare. Senza risparmi o addirittura con debiti accumulati, non possono permettersi neppure la spesa quotidiana e l’acquisto dei beni di prima necessità. Così, secondo una stima della Coldiretti, la massa di poveri assoluti è nuovamente cresciuta di un milione di disgraziati. Fra i nuovi poveri del 2020 ci sono coloro che hanno perso il lavoro, i piccoli commercianti o artigiani che hanno dovuto chiudere, i lavoratori del sommerso che non godono di particolari sussidi pubblici, e molti lavoratori a tempo determinato o con attività saltuarie.
Proprio ora che più evidente è l’esigenza di un sussidio per assicurare la semplice sopravvivenza a milioni di italiani che muoiono di fame, proprio ora che altrettanti italiani generosi hanno dimostrato solidarietà aiutando in mille modi i poveri che avevano a portata di mano, il presidente della Confindustria e tutto il coro neoliberista insistono con sfacciato cinismo nel pretendere che lo Stato si tiri indietro.
Il ragionamento che essi adducono è che, per debellare la povertà, occorre la crescita. Se i soldi che si spendono per il Reddito vengono dirottati verso le imprese, queste crescono e, crescendo, assumono i disoccupati e la miseria evapora. Quest’idea venne a due economisti – Kuznets e Laffer – ispiratori di Reagan e di Bush padre, secondo i quali, se la ricchezza dei ricchi cresce, una parte di essa automaticamente sgocciola (trickle-down) fino a raggiungere e avvantaggiare i poveri. Sappiamo bene come è andata: crescendo, la ricchezza è sgocciolata contro natura, dal basso verso l’alto. In Italia, ad esempio, nel decennio della crisi (2008-2018), la ricchezza dei 6 milioni più ricchi è cresciuta del 72% mentre quella dei 6 milioni più poveri è diminuita del 63%.
Alla faccia di Kuznets, Laffer e dei loro interessati seguaci, non esiste un’unica economia interconnessa ma, nei Paesi capitalistici, esistono due economie – quella dei ricchi e quella dei poveri – reciprocamente impermeabili per cui i poveri crescono persino in nazioni straricche come gli Stati Uniti. Con due terribili caratteristiche: i poveri non possono attendere (la loro fame e quella dei loro figli è quotidiana e va sfamata con aiuti immediati); una parte consistente dei poveri non è in grado di lavorare perché formata da vecchi, bambini e inabili che hanno urgente bisogno di cibo, non di lavoro. Per questi, il Reddito di cittadinanza è puro e doveroso assistenzialismo, né può essere altrimenti. E non c’è nulla di male se uno Stato che vanta l’ottavo Pil del pianeta eviti che i suoi cittadini più sfortunati muoiano di fame.
La foga anti-Reddito dei neo-liberisti è così irrazionale, così dettata da stereotipi classisti, che è inutile rintuzzarla esibendo statistiche. Del resto essi neppure le sbircerebbero. Vale invece la pena di ricordare qualche dato a uso dei tanti che credono nel welfare come conquista di cui l’Italia e l’Europa possono andare fiere.
Mi scuso con i lettori per la noiosa aridità delle cifre, ma non se ne può fare a meno. Tra il gennaio 2018 e il marzo 2019 fu erogato il Reddito di Inclusione (REI) voluto dal governo Gentiloni e sempre rimpianto dal Pd per puro ostruzionismo ai 5Stelle, fautori del Reddito di cittadinanza. Nel marzo 2019 i nuclei percettori del Rei erano arrivati appena a 306mila, ciascuno dei quali riceveva un importo medio di 283 euro. Poi, a partire dall’aprile 2019, quando i poveri erano 5 milioni, sono scattati il Reddito e la Pensione di cittadinanza per cui oggi i nuclei familiari che percepiscono il sussidio sono 1.266.400 cui corrispondono 3.005.200 persone. Praticamente, oggi 3 milioni di poveri su 5 fruiscono di un reddito che ha un importo medio mensile di 523 euro. I nuclei che percepiscono più di mille euro mensili sono 61.000. I nuclei composti da extra-comunitari con permesso di soggiorno sono 86.400, per un complesso di 252.300 persone.
I nuclei familiari con presenza di minori sono 448.500 che comprendono 1.711.600. I nuclei con presenza di disabili sono 242.600 per un numero complessivo di persone coinvolte pari a 578.500.
Raggiungere i destinatari del Rdc non è impresa facile. In Germania hanno impiegato dieci anni per individuarne il 50%; in Italia sono bastati sei mesi. È facile schiamazzare quando la macchina organizzativa dell’Inps, sotto l’urto di milioni di contatti simultanei, va in crisi. Più onesto è apprezzare i casi in cui l’Istituto riesce a portare a termine operazioni imponenti senza che se ne parli. Le cifre ufficiali, aggiornate al 4 agosto scorso, attestano l’imponenza dell’organizzazione sottesa al Rdc e alla Pdc. Dall’aprile 2019 al luglio 2020 sono state ricevute ed esaminate 2.075.400 domande, provenienti da altrettanti nuclei familiari. Le domande accolte sono state 1.421.200 inviate per il 61% dal Sud, per il 24% dal Nord e per il 15% dal Centro.
In questi mesi le televisioni hanno fatto a gara per scoprire qua e là qualche furbetto percettore di Reddito immeritato, ma l’Inps, ben più occhiuta, ha respinto e cancellato ben 526.700 domande per mancanza di requisiti. 75.000 provenivano dalla Campania e 66.000 dalla Lombardia.
Le regioni che hanno il numero maggiore di poveri assistiti sono, in ordine decrescente, la Campania, la Sicilia, il Lazio e la Lombardia. Un accenno particolare merita la Campania anche perché il suo presidente De Luca non perde occasione per tuonare contro il Reddito. Dalla sua regione è arrivato il numero più alto di richieste (375.800) perché vi risiede il numero più alto di poveri. La percentuale di domande fasulle o sbagliate (14%) è stata la più alta d’Italia. Oggi i nuclei poveri della Campania che percepiscono il Reddito sono 258.600 (di cui 159.100 nella sola Napoli) ai quali corrispondono 716.300 persone (di cui 464.500 a Napoli). L’importo medio mensile del sussidio ricevuto da ciascun nucleo è di 599 euro. Dunque ogni mese entrano in Campania, provenienti dallo Stato, 155 milioni di cui 99,7 milioni nella sola Napoli. C’è da chiedersi cosa sarebbe la vita di queste 700mila persone senza il Rdc, cosa farebbe la Regione per sfamarle e per gestirne la conflittualità.
In questa emergenza Covid-19, il Reddito di cittadinanza è risultato provvidenziale per soddisfare i bisogni essenziali di milioni di poveri e per ridurre le tensioni sociali. La sua formula, inoltre, è risultata efficace per far fronte alle ulteriori esigenze immediate di sussidi provocate dalla pandemia. È stato perciò istituito un Reddito di Emergenza che, nell’arco di tre mesi, ha ricevuto 599.000 domande di cui il 41% provenienti dal Sud, il 38% dal Nord e il 19% dal Centro. 268.000 pratiche sono state già accolte e ogni nucleo ha ricevuto un importo medio mensile di 556 euro.
Per concludere, almeno 100mila percettori di Rdc hanno trovato lavoro tramite i Centri per l’Impiego. Per avere un’idea della loro consistenza, si tenga conto che tutti i dipendenti della Fiat in Italia, messi insieme, sono 86mila.