Signor Presidente, colleghi cittadini, colleghi deputati,
Vorrei fare come premessa, a margine di altre riflessioni sull’argomento, che registriamo, e ancora una volta, l’assoluta mancanza di attenzione al nostro ruolo in Parlamento.
Cari cittadini, noi deputati del movimento 5 stelle (ma non ho ragione di pensare che i colleghi di diversa appartenenza politica abbiano avuto un trattamento differente dal nostro) abbiamo avuto l’opportunità di analizzare il decreto in oggetto, e quindi emendarlo, solo a partire dalle ore 21.00 del giorno 29 luglio 2013.
Neppure 24 ore per operare sul decreto in questione.
Meno di 24 ore sarebbero dovute passare tra la comunicazione dell’assegnazione del decreto in commissione giustizia della Camera e l’effettiva possibilità di emendare il decreto.
Il termine ultimo per la presentazione degli emendamenti è stato fissato alle ore 19.00 del 30 luglio 2013.
Pertanto il tempo a noi concesso andava dalle ore 21.00 del 29 luglio alle ore 19.00 del 30 luglio.
Un tempo pari a 22 ore.
Solamente 22 ore ci sono state concesse per affrontare un problema come quello delle carceri italiane.
Concederci 22 ore di tempo per presentare emendamenti significa dare un atto di fiducia cieca a favore del governo il quale, a questo punto, è stato e sarà, l’unico estensore del decreto in questione.
Mi chiedo come sia possibile affrontare una problematica come quella “de quo” in sole 22 ore ? Come è possibile per noi parlamentari incidere in una materia come quella carceraria in un arco di tempo cosi ristretto? La saggezza popolare ci insegna che “presto e bene” sono due concetti che non vanno d’accordo.
La decretazione di urgenza – ormai consuetudine delle legislazioni degli ultimi anni, e rispetto alla quale il ministro Letta aveva detto che non vi avrebbe fatto ricorso o che sarebbe stata fortemente ridotta presenta anche questo incredibile paradosso: non dà materialmente il tempo a noi parlamentari di discutere ed approfondire la materia ed il testo legislativo.
Naturalmente tutta questa fretta si tramuta necessariamente in una pessima tecnica legislativa, spesso ci troviamo di fronte a testi scollegati e non coordinati proprio in quanto figli della celerità imposta dallo stressante e furioso ritmo dei lavori parlamentari e l’unico colpevole di questa situazione è la decretazione di urgenza cui il governo continua sistematicamente a fare ricorso.
Quando mi trovavo a studiare i testi di legge ricordo che ero solito immaginare cosa avrei scritto io qualora fossi stato nei panni “del legislatore“ e spesso mi meravigliavo degli strafalcioni che “il legislatore” prendeva nella formulazione della norma.
Ebbene devo ammettere che la sommaria tecnica legislativa degli ultimi anni, che innumerevoli problemi crea soprattutto nelle aule di giustizia, è figlia della prassi governativa di fare abuso al frequente ricorso dei decreti legge. Prassi governativa che ha avuto, almeno fino ad oggi, il placet dei gruppi parlamentari di maggioranza e che non mi sembra in alcun modo dia segnali di affievolimento.
Per quanto mi riguarda il fatto che noi soli deputati siamo costretti ad affrontare questa estenuante corsa contro il tempo legittima il nostro voto contrario al decreto legge nella sua interezza. Sebbene esistano dei punti condivisibili.
Non possiamo votare positivamente un testo del quale non ci è stata data la possibilità di approfondire e di analizzare compiutamente la reale portata. E lo ripeto ancora una volta, tutto ciò dipende solo ed esclusivamente dal fatto che la materia viene trattata a mezzo di un decreto legge.
Non mi sembra assolutamente giusto dover imputare al parlamento, attraverso l’approvazione della legge di conversione del decreto legge, il contenuto di un provvedimento legislativo che è stato interamente formulato da un soggetto istituzionale diverso.
Senza adesso affrontare per l’ennesima volta i profili di criticità che vengono in rilievo abusando dell’articolo 76 della nostra carta costituzionale mi sento in dovere di esprimere che un provvedimento come quello attuale è lesivo del principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della carta.
Infatti si viene a creare una diseguaglianza tra cittadini che sono stati sottoposti a misure personali restrittive e cittadini che godono di un trattamento agevolato.
Esistono più di 65.000 persone detenute, diritti umani calpestati, condizioni che hanno ben poco di dignitoso, promiscuità, malattie infettive, suicidi e non dimentichiamoci della Corte di Strasburgo che, con una scadenza e precisione certosina, ci rimprovera e ci fa rendere conto di quanta differenza ci sia con gli altri paesi europei in tema di carceri.
E’ necessario restituire alla detenzione i connotati di civiltà e legalità.
E’ vergognoso come sono trattati i detenuti – molte persone in carcere stanno subendo la limitazione dei diritti fondamentali – pensiamo alla salute – malattie gravi – degrado della dignità umana.
In carcere si continua a morire.
Il governo e nello specifico il ministro Cancellieri, a mezzo di questo decreto conta di ridurre di circa 4.000 unità la popolazione carceraria. Quando siamo a conoscenza del fatto che all’interno dei carceri italiani il sovraffollamento è calcolato nell’ordine delle 20.000 unità.
In altre parole all’interno delle carceri italiane sono collocati 20.000 condannati in più rispetto alla effettiva capienza.
Si tratta di un provvedimento tampone ed assolutamente non risolutivo del problema del sovraffollamento.
La prima cosa che ho pensato leggendo il decreto è stato quello di assistere ad una sorta di indulto mascherato.
Mi è sembrato di trovarmi di fronte addirittura ad una amnistia.
Perché in realtà trattasi di una amnistia.
Come altro infatti si potrebbe chiamare un provvedimento che, dopo il primo passaggio al senato, prevede la modifica dell’articolo 280 del codice di procedura penale relativo ai presupposti per l’applicazione della custodia cautelare in carcere ed attraverso il quale si prevede la custodia cautelare per i delitti, tentati o consumati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni invece che a 4 anni ?
A riguardo devo necessariamente far notare una cosa: secondo la versione approvata dal senato, e mi rivolgo sia ai senatori di GAL e sia ai senatori che esprimono la maggioranza di governo che hanno emendato ed approvato il provvedimento in questione, al “reo” di stalking, la cui pena era originariamente prevista in un periodo variabile da 6 mesi a 4 anni di carcere, non sarebbe stata applicata la custodia cautelare in carcere. Mi spiego meglio: lo stalker non sarebbe andato in carcere in carcere.
Adesso questa paradossale situazione può avere solo due spiegazioni: 1) è frutto di uno svarione dovuto a disattenzione probabilmente causata dallo scarso lasso di tempo che anche il senato ha avuto a disposizione nella trattazione della materia e 2) i nostri colleghi senatori di maggioranza veramente intendono non mandare in carcere lo stalker in quanto non considerano questo tipo di reato degno di essere compreso all’interno delle fattispecie che prevedono la custodia cautelare in carcere.
Per questo tipo di reato anzi, secondo l’attuale testo uscito dalle aule del senato, neppure gli arresti domiciliari sarebbero previsti.
La cosa che mi preoccupa di più è il fatto che all’emendamento sia stato dato il parere favorevole del governo.
E questa storia dello stalking è resa ancora più grave alla luce del dibattito che si è avuto all’interno della camera sul testo per la messa alla prova, ebbene in quella occasione ricordo che tutti si sono prodigati affinchè lo stalker potesse godere di misure alternative al carcere e adesso invece per questo reato addirittura si esclude la custodia cautelare in carcere.
Fortunatamente la commissione giustizia della Camera è riuscita a correggere questa stortura, ma resta il fatto che il provvedimento normativo è passato in una originaria versione impresentabile.
Ma la situazione rischiava di diventare ben più grave, infatti qualora il testo di legge non dovesse essere cambiato, allora la custodia cautelare non sarebbe scattata neppure per chi finanzia illecitamente i partiti, per l’abuso d’ufficio, e neppure per chi rende false informazioni ai Pm. Si sarebbero salvati dalla custodia cautelare anche i reati di favoreggiamento, contraffazione, introduzione nello Stato e vendita di marchi contraffatti. Sono tutti reati per i quali é prevista una pena massima di 4 anni.
Il fatto che la commissione giustizia della camera abbia corretto la stortura apportata dal Senato non deve farci gridare ad una vittoria, bensì deve essere vista come un grave campanello di allarme verso quello che avrebbe potuto essere e che fortunatamente non è stato.
Il ministro Cancellieri ha pubblicamente dichiarato che lo scopo del decreto de quo è quello di favorire un cambio culturale relativamente alla gestione ed al trattamento dei detenuti.
Ebbene, se di cambio culturale vogliamo parlare, allora questo deve essere radicale e non può giammai essere rappresentato da un provvedimento di amnistia o di generalizzato indulto.
E’ necessario considerare un dato di fatto: ad oggi il carcere è un qualcosa di delterio, è un qualcosa che non contribuisce al reinserimento sociale del detenuto.
Quando un soggetto esce dal carcere il più delle volte ne esce con una propensione a delinquere ancora più elevata di quanta ne avesse precedentemente all’ingresso nella struttura carceraria.
Ad oggi il carcere non contribuisce in alcun modo al recupero sociale del condannato, anzi ha l’effetto perfettamente contrario.
Se di cambio culturale si vuole parlare allora è necessario imporre quelle riforme strutturali di cui parlavo precedentemente.
E’ necessaria una rivisitazione dell’intero sistema penale.
Il politico attento e di coscienza deve domandarsi il perché determinati reati aumentano in determinati periodi storici e poi chiedersi ancora quali siano i soggetti che maggiormente sono interessati a questo fenomeno.
Occupare abusivamente una abitazione altrui (anche comunale) è un reato, ma se il cittadino non riesce a far fronte alle spese per pagare l’affitto di un appartamento per se e per la propria famiglia ed è costretto ad occuparne uno, magari anche abbandonato da molti anni, vuol dire che il problema di fondo è più serio e non si può ridurre tutto alla necessità di punire il cittadino occupante abusivo, il problema in altre parole è nel tessuto socio-economico.
L’emergenza costituita dal sovraffollamento delle carceri a mio avviso ha qualcosa di molto simile all’emergenza dei rifiuti nella regione Campania.
Un problema ormai incancrenito non può chiamarsi emergenza, e la sovrappopolazione carceraria necessita di riforme strutturali e sistematiche non di interventi tampone come quello in oggetto, abbisogna di una legge ad hoc che coinvolga il parlamento e che affronti globalmente gli innumerevoli aspetti che riguardano la materie delle carceri in Italia.
Il sovraffollamento delle strutture carcerarie ha infatti nome e cognome: le leggi incriminate sono infatti la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi.
Sono due leggi che, più di altre, hanno contribuito a rendere le carceri italiane affollate di povera gente che è scappata dal proprio paese per cercare un futuro migliore.
Il sovraffollamento delle carceri costituisce una delle problematiche strutturali che investono il nostro paese da ormai più di 40 anni.
Una situazione che si trascina da 40 anni.
A ben vedere un tempo addirittura maggiore di quello relativo ai rifiuti campani, non può certo chiamarsi emergenza.
Se proprio volessimo dare un nome a questa situazione allora dovremmo chiamarla “incapacità della classe dirigente degli ultimi 50 anni”.
Non dimentichiamoci ancora che dal 1942 sono stati emanati circa 25 provvedimenti d’indulto e circa 30 di amnistia senza che ciò abbia mai risolto il problema de quo.
In altre parole l’esperienza ci insegna che con il mezzo dell’indulto e/o dell’amnistia non si risolve il problema del sovraffollamento delle carceri.
Nel territorio della repubblica esistono delle strutture carcerarie non utilizzate.
Strutture costruite con denari pubblici e poi abbandonate a loro stesse.
In molte carceri oggi in funzione ci sono settori vuoti che non vengono utilizzati affatto oppure sono sottoutilizzati: Pianosa, Asinara, Gela, Arghillà, Cropani, Irsina sono solo alcuni dei nomi delle località dove vi sono strutture carcerarie inutilizzate (o parzialmente utilizzate) per ospitare la popolazione carceraria.
Leggo da organi di stampa e da informative varie che sono circa 30 le carceri in Italia inutilizzate.
La strada maestra da seguire già è segnata e non vi è alcun bisogno di ricorrere a scorciatoie o a vie secondarie.
Bisogna sfruttare le risorse che già si dispone e non cadere nella facile tentazione di voler risolvere il problema con un’amnistia o un indulto.
Il nodo gordiano che è stato reso difficile da sciogliere a causa della classe dirigente che si è susseguita in tutti questi anni non può essere tagliato a mezzo dell’applicazione di un istituto come un’amnistia o un indulto oppure, peggio ancora, come il provvedimento in oggetto che ha il sapore di una amnistia mascherata.
Sfruttare le strutture carcerarie che già esistono nella penisola, sfruttare i settori delle carceri sottoutilizzate.
Solo cosi è possibile risolvere l’annoso problema del sovraffollamento carcerario.
Esistono certamente dei punti del decreto che mi trovano d’accordo e rispetto ai quali non posso che esprimere il mio consenso, ma, trattasi di singoli provvedimenti che, se fossero relazionati all’interezza del decreto, di fatto non spostano l’ago della bilancia verso l’ammissibilità del decreto nella sua interezza.
Mi riferisco ad esempio all’articolo 3 bis il quale prevede agevolazioni per le cooperative sociali che impiegano ex detenuti – ampliando fino a 24 mesi dall’uscita dal carcere la possibilità di beneficiare di sgravi contributivi – nonché la modifica della legge “smuraglia” che prevede agevolazioni per le aziende che assumono carcerati.
Spesso e volentieri il detenuto o l’ex detenuto non è materialmente messo nelle condizioni di poter cambiare vita, e quindi di non delinquere.
In quanto la persona con precedenti è bollata come “galeotto”.
E’ davvero improbabile trovare un posto di lavoro e sperare nella possibilità di stabilizzare la propria situazione e quindi normalizzare anche il suo stile di vita.
Ritengo che sia necessario affiancare l’ex detenuto nel corso del suo periodo di reinserimento nella società e nel mondo del lavoro.
Prevedere il solo sgravio fiscale significa rendere un provvedimento del genere, seppur nobile e giusto, come passibile di un probabile fallimento.
Ritengo che lo Stato debba aiutare l’ex detenuto durante tutto il percorso di reinserimento.
Solo la costante presenza dello Stato, durante un congruo periodo di tempo, può effettivamente aiutare un soggetto debole ad essere rieducato, non solo attraverso la semplice pena detentiva.
Avrei voluto vedere all’interno di un decreto che affronta una questione come quella in oggetto provvedimenti che prevedessero la messa in funzione delle numerose carceri inutilizzate nel nostro Paese.
Disposizioni che prevedano la possibilità per ciascun detenuto di effettuare un’attività lavorativa in quanto solo attraverso questa è possibile l’effettivo reinserimento sociale del carcerato nella società civile.
Non dimentichiamo che oggi sono solo 5.000 i detenuti che svolgono attività lavorativa all’interno dei penitenziari ed hanno così la possibilità di sperimentare la vera funzione rieducativa della pena.
Avrei voluto vedere norme che prevedessero, naturalmente dietro la stipulazione di accordi bilaterali o convenzioni plurilaterali, la possibilità di far scontare la pena ai detenuti extracomunitari nei loro paesi di origine. Ricordiamoci infatti, per l’ennesima volta, che sul sovraffollamento delle carceri ha inciso il marchio Bossi-Fini e Fini–Giovanardi.
Infine chiudo con alcune riflessioni del professor Borgna (noto psichiatra): “Il pregiudizio è quella particolare deformazione che ci porta a giudicare gli altri generalizzando i comportamenti di un certo momento. Pensiamo ai carcerati. Quelle persone hanno compiuto reati gravissimi, ma se volessi analizzare una persona, non posso partire dal reato che hanno commesso. Metto tra parentesi quel fatto: non lo cancello, ma cerco di capire la persona com’è adesso. Una persona non è definita dal reato che ha commesso, anche se noi abbiamo la tendenza a pensare che invece sia così. Dobbiamo vedere la loro possibilità di ri-creazione, o meglio di rinascita”.
Continua il professore: “Paradossalmente sono i reati più gravi che possono determinare le conversioni più sconvolgenti. Più grande è il male compiuto, più è possibile essere portati a rendersi conto del proprio errore. Allora accade una cosa terribile, è come una bomba atomica che distrugge l’uomo di prima e lascia aperte strade immense per ripartire”.
Il professore sostiene ancora che: “Con l’ergastolo nessuno più può mantenere un lumicino di speranza. È un’eutanasia imposta da persone educate, civili, religiose.
Dal punto di vista psicologico, è forse la tortura maggiore: l’uccisione della speranza. È come dire: vi uccidiamo due volte.
“Quello che noi siamo – ha scritto Nietzsche – è quello che diveniamo”. È il futuro che fa di noi quello che io e lei siamo in questo momento. Noi siamo un’attesa”.