Una nostra breve nota su come la riforma costituzionale proposta dal Governo Renzi incida sull’ordinamento giuridico per quanto riguarda la tutela ambientale. Per completezza nel documento è incluso il parere alternativo che, come Gruppo M5S, avevamo proposto quando il disegno di legge di riforma costituzionale è passato dalla commissione ambiente in sede consultiva (11 dicembre 2014).
La tutela ambientale non era presente in modo esplicito nella Carta Costituzionale del 1948. I nostri padri costituenti hanno inserito, nell’ambito dei principi fondamentali, all’articolo 9, la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione, con una formulazione derivata in tutta probabilità dall’articolo 150 della Costituzione tedesca della Repubblica di Weimar.
Il quadro storico che ha visto la nascita di una nuova forma di Stato nel nostro paese non era certo quello più idoneo per l’introduzione di principi di tutela ambientale in senso stretto nella “legge delle leggi” e gli unici altri principi riconducibili alla tutela ambientale sono quelli relativi al diritto alla salute previsto dall’articolo 32 e quelli che impongono il razionale sfruttamento del suolo, la bonifica dei terreni e l’adozione di provvedimenti a favore delle zone montane. Tutti questi principi in effetti hanno assunto una valenza sotto il profilo ambientale solo successivamente e grazie soprattutto ad un’evoluzione a cui hanno dato un importante contributo la dottrina e la giurisprudenza, quest’ultima con un’innumerevole serie di sentenze di carattere interpretativo che hanno – nei fatti – dato vita ad una vera e propria produzione normativa parallela.
La parola “ambiente” nella Costituzione è stata introdotta per la prima volta nel 2001, quando, con la riforma del Titolo V della Costituzione, è stata riformulata l’attribuzione delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni, che hanno registrato un consistente ampliamento della propria potestà legislativa in diverse materie. La nuova disciplina inserisce la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” tra le competenze esclusive dello Stato ed affida alla legislazione concorrente (ossia ad una legislazione in cui allo Stato è affidata l’emanazione di una norma quadro e alle regioni le norme di dettaglio) la disciplina di alcune materie intrinsecamente connesse con la tutela ambientale (ad esempio: protezione civile, governo del territorio, grandi reti di trasporto e di navigazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, valorizzazione dei beni culturali e ambientali). L’intervento del legislatore costituzionale è coerente con l’evoluzione della cosiddetta “Costituzione materiale” che, alla luce dei mutamenti culturali e della crescente sensibilità, ha gradualmente rafforzato il valore dell’ambiente come bene da tutelare sul piano giuridico.
La riforma lascia inalterati i principi fondamentali della Costituzione (tra cui l’articolo 9, che attribuisce alla Repubblica il compito di tutelare il paesaggio) e interviene sulla composizione del Parlamento con l’obiettivo del superamento del bicameralismo perfetto, sui meccanismi di formazione delle leggi e modifica il riparto della competenza legislativa tra Stato e Regioni. In particolare per quanto riguarda la tutela ambientale, la lettera s) dell’articolo 117 viene modificata come indicato nella tabella che segue:
La nuova formulazione non sembra del tutto innocua perché se da un lato inserisce i beni paesaggistici nell’ambito della competenza statale di tutela (a cui viene unita la valorizzazione) dall’altro sposta ambiente ed ecosistema fuori dall’ambito di tutela e li indica solo come materie di competenza statale (alle quali si aggiungono ordinamento sportivo, disposizioni su attività culturali e turismo). La differenza non è di poco conto perché compito dello Stato sembra non essere più la “tutela” dell’ambiente ma semplicemente la sua gestione. Nel testo vengono aggiunte altre lettere di interesse in materia ambientale (governo del territorio, protezione civile, energia, infrastrutture strategiche), anch’esse attribuite alla competenza esclusiva dello Stato.
Questa modifica va letta nel combinato disposto con il mutamento degli equilibri tra Parlamento e Governo e, all’interno del Parlamento, tra Camera e Senato, che da vita ad un quadro in cui si ha la sensazione che la tutela ambientale possa essere indebolita.
E’ evidente che il rafforzamento di fatto del potere dell’esecutivo consentirà l’approvazione in tempi rapidi di leggi che potrebbero incidere negativamente sull’ambiente e sugli ecosistemi (ma anche adesso non è particolarmente difficile per il Governo imporre le proprie decisioni). In più gli enti locali e le regioni avranno vita difficile ad opporsi a scelte calate dall’alto per la cancellazione della legislazione concorrente, attualmente prevista dal terzo comma dell’articolo 117. In questo modo sembra volersi ribaltare l’impianto della precedente riforma, riportando il baricentro legislativo dalla parte dello Stato. Su questo aspetto la questione è particolarmente delicata, perché da un lato c’è la comprensibile esigenza di evitare possibili contenziosi tra lo Stato e le regioni e di eliminare le “zone grigie” di interventi dei due legislatori – i quali, sovrapponendosi o creando delle lacune, possono portare rispettivamente a contrasto di norme o vuoti normativi – ma dall’altro si rischia di vanificare il principio di leale collaborazione tra i diversi livelli della pubblica amministrazione, che invece andrebbe migliorato e rafforzato. Del resto non bisogna dimenticare che sia il bicameralismo, sia l’attuale suddivisione delle competenze legislative, costituiscono un sistema di contrappesi che consente di individuare e correggere eventuali errori (sia tecnici che politici) nella stesura delle norme. Del resto con l’entrata in vigore del nuovo testo dell’articolo 117 non sarà più possibile per le regioni impugnare norme ritenute lesive della propria autonomia, come avvenuto – inter alios – con il ricorso della Regione Puglia che ha impugnato l’art. 17, comma 1, lettera b), del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (c.d. decreto sblocca-Italia) il quale – in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., – “anziché limitarsi a dettare un principio in materia di legislazione concorrente, quale il «governo del territorio», stabilirebbe una «disciplina del tutto autoapplicativa ed autosufficiente», che non lascerebbe, per il suo «carattere evidentemente dettagliato», alcuno «spazio di manovra» all’iniziativa legislativa regionale” (Sent. n. 67 del 2016 della Corte Costituzionale).
Ulteriori perplessità derivano dalla mancanza di una chiara delimitazione tra gli ambiti di competenza statale e regionale, con il concreto rischio di nuove ambiguità e di ulteriori contenziosi.
Il quadro di incertezza giuridica è completato dal secondo passaggio contenuto nella riforma dell’art. 117, la cosiddetta “clausola di supremazia”, dove si prevede che “Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale.” Una sorta di passe-partout per dare la possibilità al Governo di intervenire “a gamba tesa” proprio sui temi più delicati e sensibili, come, per l’appunto, le questioni ambientali. Appare evidente l’intenzione di approdare ad un modello di semplificazione emergenziale delle decisioni la cui ottusa applicazione da parte di chi sarà al Governo (e si possono facilmente immaginare esecutivi ancor meno sensibili del Governo Renzi ai temi ambientali) permetterebbe di realizzare grandi opere, infrastrutture, impianti energetici, porti, aeroporti scavalcando senza troppe difficoltà ogni possibile tentativo di condurre adeguate riflessioni sull’opportunità (ambientale, economica, sociale, strategica) dell’intervento sul territorio.
Nel complesso la nuova cornice costituzionale che si sta delineando non sembra fornire particolari garanzie per la tutela ambientale, che – all’opposto – ne esce ulteriormente indebolita e priva di riferimenti di garanzia.
La VIII Commissione, considerato che:
il Parlamento che in questo momento sta modificando la carta costituzionale è stato eletto in virtù di una legge elettorale che è stata dichiarata incostituzionale;
si ritiene necessario mantenere un Parlamento che, pur nella differenziazione delle attribuzioni conferite alle due Camere, mantenga tuttavia una investitura popolare diretta per entrambi i suoi rami e pertanto appare insoddisfacente che i senatori vengano eletti all’interno dei Consigli regionali e tra i Sindaci;
prerequisito di qualsiasi discussione sulle modalità di composizione e sulle funzioni delle due Camere deve essere, non tanto la drastica riduzione del numero dei parlamentari, che rischia di tradursi in un vulnus di rappresentanza democratica, bensì un deciso abbassamento dei costi della politica passando quindi per un livellamento verso il basso delle indennità e dei rimborsi che vengono corrisposti ad ogni singolo parlamentare. La riduzione dei costi della politica può avvenire in modo molto più efficace se si mantiene la democrazia dell’elezione, si abbassano – fino anche a dimezzarle – le indennità ed i rimborsi di ogni singolo parlamentare, ma con il mantenimento di due Camere elette dal popolo, che possano controllarsi a vicenda e, quando necessario, correggere l’una gli errori dell’altra;
questa riforma costituzionale accentra moltissimo i poteri legislativi in capo allo Stato e elimina l’attuale meccanismo della legislazione concorrente, dando la sensazione di voler creare una separazione delle competenze tra Stato e regioni poco coerente con un’impostazione unitaria dell’organizzazione statale e delle istituzioni che la compongono, tra le quali è auspicabile una continuità di azione e non certo una netta linea di demarcazione;
la valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, con questo provvedimento, viene attratta nella competenza esclusiva dello Stato, mentre alle regioni è affidata la competenza in materia di promozione dei beni ambientali, culturali e paesaggistici; sparisce qualsiasi riferimento alla competenza concorrente Stato-Regioni e la relativa distinzione tra determinazione dei principi fondamentali e potestà legislativa vera e propria; il nuovo sistema, sempre nell’ottica centralistica meglio sopra precisata, sembra andare in direzione diametralmente opposta alla creazione di nuovi strumenti di raccordo tra gli organi centrali e periferici; si sarebbe ritenuto preferibile procedere, nell’attuazione della politica ambientale, all’insegna del principio per cui l’ambiente rappresenta un valore costituzionale con carattere trasversale ed all’interno di tale valore ambiente, si delineano, contestualmente, competenze statali, regionali e degli altri enti locali; concetto che sarebbe dovuto andare di pari passo con l’opportunità di curare l’aspetto del coordinamento funzionale delle competenze per evitare il verificarsi di una eccessiva frammentazione e dispersione delle funzioni in materia di ambiente;
appare particolarmente grave la scelta di modificare il testo della lettera s) del comma 2 dell’articolo 117 in materia di legislazione esclusiva dello Stato in merito alla quale si esprimono le seguenti perplessità:
l’inserimento della «valorizzazione» dei beni culturali e paesaggistici e la sua equiparazione alla tutela dei medesimi destano qualche preoccupazione, perché la tutela dovrebbe avere essere assolutamente prioritaria rispetto ad operazioni che, in nome della valorizzazione, rischiano di mercificare il nostro straordinario patrimonio culturale;
l’ambiguità della formulazione per la quale sembra che la tutela sia circoscritta esclusivamente ai beni culturali e paesaggistici, mentre per l’ambiente e l’ecosistema lo Stato si debba preoccupare esclusivamente di predisporre un quadro normativo di carattere squisitamente ordinamentale e relegando la tutela ad una condizione di mera eventualità; questa genericità riferita all’ambiente e all’ecosistema è foriera di gravissimi equivoci ed è contro la giurisprudenza costituzionale, la quale, molto opportunamente (vedi in particolare le sentenze n. 367 e 378 del 2007), ha distinto la «tutela», e cioè la conservazione, dell’ambiente e dell’ecosistema, affidata allo Stato, «dall’uso» e dalla «fruizione» dell’ambiente, affidata al «governo del territorio» delle Regioni, precisando che le norme di tutela, e cioè i livelli di tutela ambientale posti dallo Stato, non possono essere superate dalle norme regionali, che disciplinano l’uso e la fruizione del territorio. Detta giurisprudenza ha anche saggiamente precisato che, coincidendo l’ambiente con il «pezzo di biosfera» che costituisce l’ambito di applicazione dell’ordinamento giuridico, si verifica spesso un «concorso di competenze» sullo stesso oggetto e che in detto concorso vanno tenute distinte le competenze statali da quelle regionali. Si è detto, ad esempio in materia di salute, che le Regioni, disciplinando la tutela di questo bene, possono stabilire livelli di tutela ambientale maggiori, e non minori, di quelli stabiliti dallo Stato. L’attribuzione inoltre della «valorizzazione» dei beni culturali e paesaggistici allo Stato non tiene conto della giurisprudenza costituzionale sul significato proprio del termine, che va inteso, non come «evento pubblicitario», ma come «restauro» dei beni in questione, diretto alla «conoscenza», alla «ricerca» e allo «studio», e non a fini commerciali. È dunque, indispensabile, che il termine «tutela» sia espressamente riferito all’ambiente, all’ecosistema e ai beni culturali;
l’introduzione, nelle medesima lettera, di altri ambiti di intervento – tra cui l’ordinamento sportivo – sembra orientata a un’apparente dequalificazione della tutela ambientale, che decenni di dottrina e giurisprudenza aveva portato a considerare un’esigenza fondamentale ed imprescindibile del nostro ordinamento;
per quanto riguarda il governo del territorio, sottratto alla competenza concorrente, non si capisce come sia possibile parlare di «pianificazione» regionale in via astratta e generale senza precisarne i contenuti e soprattutto senza indicare i rapporti con la «tutela» dell’ambiente e dell’ecosistema;
altrettanto ambiguo è l’uso del termine «promozione» riferito ai beni ambientali, culturali e paesaggistici», nell’ambito della potestà legislativa regionale, non essendo chiara la finalità di tale attività, se diretta a fini commerciali o alle cosiddette associazioni culturali;
non si comprende, inoltre, se la tutela della salute appartenga ancora alle Regioni, parlandosi soltanto di «programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali»;
sorprende inoltre che si parli di «disciplina delle attività culturali» «per quanto di interesse regionale»; – la «cultura» è universale ed è disciplinata dalla Parte prima della Costituzione, a meno che per «attività» non si intenda far riferimento agli «eventi culturali», per finalità commerciali, ma tali ambiguità, che hanno l’effetto di snaturare ed affievolire concetti fondamentali, non possono ritenersi appropriati al testo costituzionale;
la Costituzione deve contenere concetti chiari e precisi e non affermazioni generiche e confuse e, per giunta, avulse dalle puntualizzazioni della Corte costituzionale;
parimenti grave è la scelta di modificare il terzo comma dell’articolo 116 includendo il «governo del territorio» tra le materie rispetto alle quali, con il procedimento previsto nello stesso articolo 116, possono essere concesse ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia a singole regioni in una materia nella quale già si registrano, anche per inerzia del legislatore statale, significative differenze tra gli ordinamenti regionali, senza che ciò abbia determinato apprezzabili risultati sul piano dell’ordinato governo del territorio, e con il rischio che l’assetto costituzionale prospettato metta a rischio ulteriormente la tutela dell’unità giuridica ed economica della Repubblica;
sono opportune nuove ed ulteriori tipologie di referendum, propositivi e consultivi, è necessario porre al centro dell’interesse la reale connessione tra corpo elettorale e attività legislativa;
occorre garantire trasparenza nelle elezioni di alcune tra le più alte cariche dello Stato, come i giudici della Corte costituzionale, in quanto il modo migliore per scegliere le persone chiamate a ricoprire funzioni che servono a tutelare i diritti costituzionali, è quello di renderle pubbliche in modo che tutti possano valutare tali persone prima della loro elezione in Parlamento;
il rapporto tra la Costituzione repubblicana e le leggi di derivazione europea deve essere tradursi in supremazia della prime sulle seconde;
i meccanismi di garanzia dei diritti e delle prerogative delle minoranze presenti in Parlamento non risultano soddisfacenti;
gli emendamenti approvati in commissione, come quello relativo alla composizione del Senato e la modifica degli articolo 7 e 14 del disegno di legge in oggetto, non colmano le gravi lacune della riforma in questione,
ESPRIME PARERE CONTRARIO