«Non ho mai chiesto di occuparmi di mafia. Ci sono entrato per caso. E poi ci sono rimasto per un problema morale. La gente mi moriva attorno». Mi permetto di aprire questo mio intervento citando un grande uomo come Paolo Borsellino, perché credo che queste poche parole possano essere di grande aiuto nel far comprendere lo spirito nel quale ho deciso di intraprendere il percorso che ha portato alla costruzione del provvedimento che oggi ci apprestiamo a discutere. Basta cambiare gli attori in gioco, sostituire mafia con ecomafia e morti ammazzati con le vittime di tumore, e il quadro vi risulterà abbastanza chiaro.
Dove non arriva la coscienza arriva il diritto, la legge. Dove non c’è rispetto per il proprio territorio, sia che sia un criminale dello smaltimento o un imprenditore che lavora e produce rifiuti a nero, arrivano allora misure adeguate al danno che, prima ancora di essere circoscritto, occorre identificare a priori nella sua accezione terminologica di inquinamento ambientale o disastro ambientale.
Colpire l’ambiente è un delitto: uccide un luogo. Perché dove contamini terra ed aria, crei delle condizioni di invivibilità, mentre invece nessuno, per colpa di persone senza scrupoli, deve essere costretto a lasciare il territorio dove è nato, cresciuto e dove vive con i propri effetti. Non è la gente onesta che deve lasciare una terra, ma devono essere i criminali dei rifiuti ad abbandonare l’idea che tutto gli è permesso perché tanto, o bruci o metti sotto terra, la fai franca, perché le pene sono ridicole ed intanto ti fai il tuo bel profitto illecito. Non sarà più così. Questi ragionamenti non potranno più essere fatti per pianificare l’uccisione di terre o di luoghi, parchi e aree protette in generale.
Questa proposta è decisa, definita, chiara in materia di contrasto e repressione del fenomeno descritto. Anzi, quando l’inquinamento è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, prevede che la pena è aumentata.
Sono emozionato questa mattina di essere proprio il relatore di questo testo. Da ambientalista di lungo corso forse ancora non ci credo. Sono di Giugliano in Campania, punta di diamante di un disastro senza precedenti. Questo testo che relaziona il sogno degli onesti e della natura – consentitemelo –, il progetto esclusivamente per il quale decisi di accettare la candidatura al Parlamento nell’inverno scorso.
Volevo portare il dolore della gente su questi banchi, trasformarlo in una proposta di legge, come di fatto è accaduto, scrivere gli articoli pensando a quelli che ci hanno lasciato per gli effetti del disastro ambientale: l’ultimo – voglio ricordarlo qui – è Michele Liguori, il vigile urbano simbolo della lotta nella «Terra dei fuochi». Si è ammalato sovrintendendo il territorio, facendo con onestà il proprio dovere. Se queste disposizioni fossero entrate in vigore venti anni fa, uomini come Michele avrebbero partecipato con la propria diretta esperienza a riscrivere il futuro. Noi ci crediamo ancora che un altro futuro può arrivare per tutti quei luoghi dove per soldi si è depredata l’integrità del suolo, delle acque, dell’aria.
Fin dal primo giorno in cui ho messo piede in quest’Aula ho fatto una promessa a me stesso e, facendola a me stesso, l’ho fatta contemporaneamente a tutti quei cittadini che, circa un anno fa, mi hanno dato la possibilità di sedere oggi tra questi banchi e a tutti quei cittadini che, come me, vivono in quelle terre, che in molti si ostinano a voler chiamare in maniera semplicistica «Terra dei fuochi», dimostrando di non aver ancora appreso la vera entità dell’emergenza ambientale e, soprattutto, sanitaria che affligge uno dei territori che, per l’immenso patrimonio storico e artistico e paesaggistico, oltre che per le numerose eccellenze enogastronomiche che lo contraddistinguono, dovrebbe far parlare di sé per ben altri motivi rispetto a quelli che oggi ci vedono qui riuniti a discutere di una legge orientata a metterne fine.
Quella promessa, signor Presidente e signori colleghi, si chiama giustizia. Giustizia per le decine di migliaia di morti per tumore, per leucemie, che in pochi anni si sono susseguiti a una velocità assurda, senza normative adeguate a frenare l’impatto ambientale. Giustizia per le vittime di gravi patologie respiratorie, cardiache, del sistema nervoso, per le malformazioni neonatali e per tutte quelle persone che proprio in queste ore, mentre noi parliamo in quest’Aula, lottano tra la vita e la morte, domandandosi perché sia toccato proprio a loro questo calvario. Giustizia per le mamme, i papà, i figli e tutti coloro che in questi anni hanno visto consumarsi, quando non si sono consumati prima loro, i propri cari sotto i terribili colpi di un avvelenamento che ha investito e continua ad investire in maniera indiscriminata, seminando morte e dolore senza nessuna distinzione di età, sesso, razza e, soprattutto, categoria sociale, perché quando qualcuno, anche tra questi banchi, si affretta a concludere che il dramma legato all’emergenza ambientale campana è colpa della camorra e delle mafie, commette un grave errore di valutazione.
Da oggi si colmano la lacuna legislativa ed il vuoto culturale. Il testo su cui inizia la discussione è un testo unificato, in quanto è il risultato finale di un certosino lavoro di concertazione in Commissione giustizia, di cui sono componente. Ringrazio, al riguardo, la presidente della II Commissione, Donatella Ferranti, i colleghi Realacci e Pellegrino, i cui contributi, insieme a quello del sottoscritto, hanno dato vita al testo che ci accingiamo a discutere e che, anche per questo, rappresenta una vittoria di tutti.
Superando pregiudiziali di appartenenza, si è lavorato al risultato finale: un testo dove è confluita nei suoi punti basilari (associazioni ecomafiose, inquinamento ambientale, danno ambientale e disastro ambientale) la mia proposta di legge sui delitti ambientali, la n. 957, presentata il 15 maggio 2013.
L’esame in Commissione è iniziato il 20 giugno 2013 e si è concluso il 16 gennaio 2014. Il 15 ottobre 2013 si è aperta l’indagine conoscitiva, conclusasi il 10 dicembre scorso. Abbiamo udito vertici delle forze dell’ordine e della magistratura. All’unanimità convenivano sulla necessità che una simile proposta fosse introdotta presto.
Il 12 novembre abbiamo ascoltato sulle ecomafie la relazione del procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. Commentava che il codice penale Rocco ha ottantatré anni e li dimostra tutti. Mentre i vertici del Corpo forestale dello Stato – ricordo che risulta essere la forza di polizia che rileva più reati ambientali – nelle persone di Cesare Patrone, capo del Corpo, e del generale Sergio Costa, primo dirigente del Corpo forestale dello Stato, nel nel corso dell’audizione del 13 novembre hanno detto: «Noi ci troviamo,come forze dell’ordine e non solo, noi ma tutte e cinque le forze di polizia nazionali in grande difficoltà perché ad oggi il concetto di disastro ambientale non è normato. Si tratta di un cosiddetto disastro innominato di fronte, peraltro, ad altre ipotesi di disastro che sono, invece, concepite già come fattispecie autonome nel Codice penale. Penso al disastro ferroviario, per esempio. Il concetto di disastro ambientale, al di là se sia nel codice penale o nel decreto legislativo n. 152 del 2006, per noi è un’esigenza assoluta».
Quella delle cosiddette ecomafie, invece, e, nello specifico, quella connessa al traffico illecito e all’interramento dei rifiuti, non è semplicemente una storia di mafia o di camorra ma la storia della follia che in quasi vent’anni di emergenza montata ad arte ha guidato un gruppo di camorristi, ben coadiuvati dai settori deviati della politica, delle istituzioni, del professionismo e dell’imprenditoria nel realizzare il più grave attentato alla pubblica incolumità della storia. La bomba atomica non fa testo perché usata in tempo di guerra.
C’è stato un iter parlamentare attorno al testo che ha raccolto l’entusiasmo di tante persone, ambientalisti, forze dell’ordine e famiglie colpite da lutti. Lo stesso Ministro Orlando, in questo Governo, ha riconosciuto l’amaro nesso tra malattia ed inquinamento.
Il testo intende inasprire il quadro sanzionatorio per le condotte che danneggiano l’ambiente, attualmente punite prevalentemente a titolo di contravvenzione, inserendo nuovi delitti nel codice penale e nuove ipotesi di responsabilità derivanti da reato per le persone giuridiche oltre che novellare la disciplina normativa contenuta nel codice penale. Si colma una grave lacuna legislativa, si dà più sicurezza ai cittadini, si rispetta, così facendo, i vari richiami in riferimento al Trattato di Maastricht, un tempo inascoltati o solo minimamente accolti dall’Unione europea. Il «ce lo chiede l’Europa» oggi lo dico io ed a ragione. Il rispetto di questi richiami avrebbe dovuto precedere le preoccupazioni sullo spread. Dall’Europa erano più preoccupati dei vari Governi passati a tutelare i cittadini residenti in zone ad alto rischio ambientale. Una proposta che arriva dopo lunghi anni di proclami fumosi, di strategie puntualmente svanite nel tempo, che venivano annunciate, di norme e leggi scritte apposta per poter essere raggirate. Una proposta che stabilisce finalmente la dimensione del danno ambientale subìto da un territorio come quello campano ad opera, come dicevo poc’anzi, di folli che si sono abbandonati alla ricerca del profitto ad ogni costo, senza preoccuparsi minimamente delle conseguenze, che non hanno risparmiato e non risparmiano i loro cari.
È dal 1998 che c’era, almeno che era depositata alla Camera dei deputati e in Parlamento una proposta di legge sui reati ambientali nel codice penale. Sono passati sedici anni che hanno scritto la storia della mia terra e credo di tutta Italia. Oggi speriamo di voltare pagina (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle).