Se qualcuno aveva ancora dei dubbi sul perché abbiamo votato contro la conversione in legge del decreto sulle emergenze ambientali dell’ILVA e della cosiddetta Terra dei Fuochi, sarebbe bastato leggere le poche pagine del rapporto sulle mappature dei terreni campani interessati dal fenomeno dell’inquinamento ambientale presentato in conferenza stampa a Palazzo Chigi pochi giorni fa per fugarli subito e capire che il nostro era un voto, non contro il territorio, ma contro l’ennesima manovra approssimativa di gente che su quel territorio continua a speculare senza dare risposte serie.
Scorrendo le pagine del rapporto diffuso in conferenza stampa, infatti, la prima curiosità emerge nel leggere che le indagini realizzate da un gruppo di lavoro comprendente, tra gli altri, Ispra, Arpa Campania, Regione Campania e Università di Napoli, in collaborazione con enti del calibro del Commissario di Governo, Procura della Repubblica di Napoli e Carabinieri del NOE di Napoli e Caserta, solo per citarne alcuni, sarebbero frutto di una raccolta di dati già in possesso degli enti coinvolti nei lavori (e qui torna il perché dell’assenza di Casal di Principe).
Dati quindi che fino ad oggi erano chiusi nei cassetti di questi enti e che hanno potuto vedere la luce solo per effetto delle proteste del territorio campano che poi hanno spinto a produrre azioni legislative come il decreto suddetto. Praticamente, per chi si ricorda le battaglie per ottenere la pubblicazione di studi come Sebiorec e Sentieri, è la storia che si ripete.
Spulciando un po’ i numeri invece si legge che dei 1076 chilometri quadrati di terreni mappati relativi ai 57 Comuni individuati come prioritari dalla Direttiva Ministeriale del 23 dicembre 2013, le aree sospette sarebbero riconducibili a 51 siti (mediamente 0,9 siti per Comune) per una superficie complessiva pari a 21,5 chilometri quadrati di cui 9,2 chilometri quadrati destinati all’agricoltura. Su 1076 chilometri quadrati quindi, solo 2% del territorio indagato sarebbe da ritenere sospetto mentre per il restante 98% non ci sarebbero elementi per definirlo a rischio.
Da cittadino di quel territorio quindi ci sarebbero tutte le ragioni per stare tranquillo e passare, come suggerito da Caldoro sbandierando questi risultati in conferenza stampa, dall’emotività alla razionalità confidando nel fatto che tutto sommato si tratta di un problema circoscritto e facilmente controllabile. Poi però, facendo due conti ci si accorge che i 1076 chilometri quadrati richiamati come mappati nel rapporto coincidono esattamente con l’estensione complessiva dei 57 comuni elencati nello stesso documento. Parliamo quindi di una superficie che comprende anche le aree edificate di questi Comuni. Aree edificate che in alcuni casi sono talmente estese da aver quasi cancellato le porzioni di terreno ancora oggetto di coltivazioni.
Basterebbe questa sola considerazione per comprendere quanto quel 2% sia un dato che non si può in alcun modo ritenere attendibile, e di quanto questa storia sia un tragicomico tentativo di campagna elettorale per le prossime elezioni.
Nel frattempo aspettiamo le indagini, quelle vere. I numeri al lotto li lasciamo a chi tenta la fortuna.