MICILLO, BUSTO, DE ROSA, DAGA, MANNINO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
come si apprende dal comunicato stampa n. 86 del 2015 della Corte di giustizia dell’Unione europea del 16 luglio 2015, l’Italia è stata condannata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) al pagamento della somma forfettaria di euro 20.000.000 oltre ad una penalità quantificata in euro 120.000 per ogni giorno di ritardo. L’esemplare condanna è stata inflitta a causa della inesatta applicazione della direttiva rifiuti nella regione Campania;
la notizia è stata subito diffusa da numerosi organi di stampa, anche on line;
il ricorso all’organo di giustizia comunitario era stato presentato il 10 dicembre 2013 (Commissione europea c/ Repubblica italiana); dallo stesso sono scaturite la causa C-653/13 ed infine la sentenza del 16 luglio 2015;
sono queste le testuali parole riportate nella sentenza «Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:
1) Non avendo adottato tutte le misure necessarie che l’esecuzione della sentenza Commissione/Italia (C-297/08, EU:C:2010:115) comporta, la Repubblica italiana ha violato gli obblighi che le incombono in virtù dell’articolo 260, paragrafo 1, TFUE;
2) La Repubblica italiana è condannata a pagare alla Commissione europea, sul conto «Risorse proprie dell’Unione europea», una penalità di euro 120.000 per ciascun giorno di ritardo nell’attuazione delle misure necessarie per conformarsi alla sentenza Commissione/Italia (C-297/08, EU:C:2010:115), a partire dalla data della pronuncia della presente sentenza e fino alla completa esecuzione della sentenza Commissione/Italia (C-297/08, EU:C:2010:115);
3) La Repubblica italiana è condannata a pagare alla Commissione europea, sul conto «Risorse proprie dell’Unione europea», una somma forfettaria di euro 20 milioni;
4) La Repubblica italiana è condannata alle spese»;
si è conclusa pertanto la seconda causa della Commissione europea contro Italia in tema di gestione dei rifiuti nella regione Campania. Tale condanna viene irrogata anche per l’annoso e irrisolto problema delle ecoballe. Un nuovo «salasso» a discapito degli ignari ed incolpevoli cittadini italiani sta per arrivare che andrà ad aggiungersi a quello delle discariche abusive per cui, per ora, sono stati già pagati 40 milioni di euro;
la direttiva «rifiuti» cui fa riferimento il comunicato stampa, nonché la sentenza, è la 2006/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2006, relativa ai rifiuti;
tale direttiva relativa ai rifiuti ha l’obiettivo di proteggere la salute umana e l’ambiente;
gli Stati membri hanno il compito di assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti, nonché di limitare la loro produzione, in particolare promuovendo tecnologie pulite e prodotti riciclabili e riutilizzabili;
tali Stati devono creare una rete integrata ed adeguata di impianti di smaltimento dei rifiuti;
la regione Campania, con una legge regionale ha definito 18 zone territoriali omogenee in cui si doveva procedere alla gestione e allo smaltimento dei rifiuti urbani prodotti nei rispettivi bacini;
in seguito ad una situazione di crisi nello smaltimento dei rifiuti manifestatasi nella regione Campania nel 2007, la Commissione ha proposto un primo ricorso per inadempimento contro l’Italia, imputandole la mancata creazione, in quella regione, di una rete integrata ed adeguata di impianti atta a garantire l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti sulla base del criterio della prossimità geografica. La Commissione riteneva infatti che tale situazione rappresentasse un pericolo per la salute umana e per l’ambiente;
il primo ricorso, di cui sopra, si è concluso con la sentenza del 4 marzo 2010. All’interno di tale sentenza la Corte ha constatato che l’Italia, non aveva adottato, relativamente alla regione Campania, tutte le misure necessarie per assicurare che i rifiuti fossero recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza recare pregiudizio all’ambiente e, in particolare, ha constatato che l’Italia non aveva creato una rete adeguata ed integrata di impianti di smaltimento; il nostro Paese era pertanto venuto meno agli obblighi su di esso incombenti in forza della direttiva 2006/12/CE di cui sopra;
nel controllo dell’esecuzione della detta sentenza 4 marzo 2010, la Commissione è giunta alla conclusione che l’Italia non ha garantito un’attuazione corretta della prima sentenza (sentenza del 4 marzo 2010);
la Commissione riferisce che tra il 2010 e il 2011 sono stati segnalati più volte problemi di raccolta dei rifiuti in Campania, che si sono conclusi con l’accumulo per diversi giorni di tonnellate di rifiuti nelle strade di Napoli e di altre città della Campania;
inoltre, in detta regione si è accumulata una grande quantità di rifiuti storici (sei milioni di tonnellate di «ecoballe»), che deve ancora essere smaltita. Per lo smaltimento di tale quantitativo ci sarebbero voluti circa quindici anni;
inoltre, la Commissione stima che, alla scadenza del termine impartito per l’esecuzione della sentenza (termine fissato al 15 gennaio 2012), le capacità mancanti di trattamento dei rifiuti per categoria di impianti ammontavano a 1.829.000 tonnellate per le discariche, a 1.190.000 tonnellate per gli impianti di termovalorizzazione e a 382.500 tonnellate per gli impianti di trattamento dei rifiuti organici;
a fronte di tali mancanze persistevano carenze strutturali in termini di impianti di smaltimento dei rifiuti, indispensabili nella regione Campania;
non ritenendo quindi soddisfacente la situazione che si era venuta a creare, la Commissione ha proposto un nuovo ricorso per inadempimento contro l’Italia, chiedendo alla Corte di constatare il mancato rispetto della sua prima sentenza del 2010;
nella sentenza del 16 luglio 2016 la Corte constata che l’Italia non ha correttamente eseguito la sentenza del 2010 e la condanna a pagare una cifra esemplare;
la Corte convalida gli argomenti della Commissione, in particolare per quanto riguarda il problema dell’eliminazione delle «ecoballe» e il numero insufficiente di impianti aventi la capacità necessaria per il trattamento dei rifiuti urbani nella regione Campania. La Corte sottolinea inoltre che, tenuto conto delle notevoli carenze nella capacità della regione Campania di smaltire i propri rifiuti, è possibile dedurre che una siffatta grave insufficienza a livello regionale può compromettere la rete nazionale di impianti di smaltimento dei rifiuti, la quale cesserà così di presentare il carattere integrato e adeguato richiesto dalla direttiva. Ciò può minare seriamente la capacità dell’Italia di perseguire l’obiettivo dell’autosufficienza nazionale nello smaltimento dei rifiuti;
in seguito ad una situazione di crisi nello smaltimento dei rifiuti manifestatasi nella regione Campania nel 2007, la Commissione ha proposto un primo ricorso per inadempimento contro l’Italia, imputandole la mancata creazione, in quella regione, di una rete integrata ed adeguata di impianti atta a garantire l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti sulla base del criterio della prossimità geografica. La Commissione riteneva infatti che tale situazione rappresentasse un pericolo per la salute umana e per l’ambiente;
il primo ricorso, di cui sopra, si è concluso con la sentenza del 4 marzo 2010. All’interno di tale sentenza la Corte ha constatato che l’Italia, non aveva adottato, relativamente alla regione Campania, tutte le misure necessarie per assicurare che i rifiuti fossero recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza recare pregiudizio all’ambiente e, in particolare, ha constatato che l’Italia non aveva creato una rete adeguata ed integrata di impianti di smaltimento; il nostro Paese era pertanto venuto meno agli obblighi su di esso incombenti in forza della direttiva 2006/12/CE di cui sopra;
nel controllo dell’esecuzione della detta sentenza 4 marzo 2010, la Commissione è giunta alla conclusione che l’Italia non ha garantito un’attuazione corretta della prima sentenza (sentenza del 4 marzo 2010);
la Commissione riferisce che tra il 2010 e il 2011 sono stati segnalati più volte problemi di raccolta dei rifiuti in Campania, che si sono conclusi con l’accumulo per diversi giorni di tonnellate di rifiuti nelle strade di Napoli e di altre città della Campania;
inoltre, in detta regione si è accumulata una grande quantità di rifiuti storici (sei milioni di tonnellate di «ecoballe»), che deve ancora essere smaltita. Per lo smaltimento di tale quantitativo ci sarebbero voluti circa quindici anni;
inoltre, la Commissione stima che, alla scadenza del termine impartito per l’esecuzione della sentenza (termine fissato al 15 gennaio 2012), le capacità mancanti di trattamento dei rifiuti per categoria di impianti ammontavano a 1.829.000 tonnellate per le discariche, a 1.190.000 tonnellate per gli impianti di termovalorizzazione e a 382.500 tonnellate per gli impianti di trattamento dei rifiuti organici;
a fronte di tali mancanze persistevano carenze strutturali in termini di impianti di smaltimento dei rifiuti, indispensabili nella regione Campania;
non ritenendo quindi soddisfacente la situazione che si era venuta a creare, la Commissione ha proposto un nuovo ricorso per inadempimento contro l’Italia, chiedendo alla Corte di constatare il mancato rispetto della sua prima sentenza del 2010;
nella sentenza del 16 luglio 2016 la Corte constata che l’Italia non ha correttamente eseguito la sentenza del 2010 e la condanna a pagare una cifra esemplare;
la Corte convalida gli argomenti della Commissione, in particolare per quanto riguarda il problema dell’eliminazione delle «ecoballe» e il numero insufficiente di impianti aventi la capacità necessaria per il trattamento dei rifiuti urbani nella regione Campania. La Corte sottolinea inoltre che, tenuto conto delle notevoli carenze nella capacità della regione Campania di smaltire i propri rifiuti, è possibile dedurre che una siffatta grave insufficienza a livello regionale può compromettere la rete nazionale di impianti di smaltimento dei rifiuti, la quale cesserà così di presentare il carattere integrato è adeguato richiesto dalla direttiva. Ciò può minare seriamente la capacità dell’Italia di perseguire l’obiettivo dell’autosufficienza nazionale nello smaltimento dei rifiuti;
la Corte constatata poi che l’inadempimento addebitato all’Italia si è protratto per più di cinque anni, il che costituisce un periodo considerevole;
per quanto riguarda la penalità giornaliera di euro 120.000, questa è suddivisa in tre parti, ciascuna di un importo giornaliero di euro 40.000, calcolate per categoria di impianti (discariche, termovalorizzatori e impianti di trattamento dei rifiuti organici);
quanto alla somma forfettaria di euro 20.000.000, la Corte tiene conto, ai fini del calcolo della stessa, o del fatto che un inadempimento dell’Italia in materia di rifiuti è stato constatato in più di 20 cause portate dinanzi alla Corte. Orbene, una simile reiterazione di condotte costituenti infrazione da parte di uno Stato membro in un settore specifico dell’azione dell’Unione può richiedere l’adozione di una misura dissuasiva, come la seconda a al pagamento di una somma forfettaria;
nessuna iniziativa sembra essere stata intrapresa al fine di risolvere la situazione descritta all’interno del carteggio degli organi di giustizia europea;
con bando di gara C.I.G. 528187444F – pubblicato in G.U.R.I. 5a serie speciale contratti pubblici n. 114 del 6 ottobre 2014 – la regione Campania ha manifestato la sua intenzione di smaltire le ecoballe attraverso il sistema dell’incenerimento delle stesse, tuttavia, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 1 comma 2 e 2-bis del decreto-legge n. 196 del 2010 e del D.P.G.R. n. 55 del 2012, il termine di durata dell’incarico del Commissario straordinario è decorso –:
quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere al fine di evitare l’aggravio economico scaturente dal ritardo nell’attuazione della direttiva di cui in premessa, tenendo in considerazione il fine ultimo della direttiva che è quello di proteggere la salute umana e l’ambiente, precisando quale posizione intenda assumere in relazione alla eventuale proroga delle disposizioni di cui al decreto-legge n. 196 del 2010. (5-06198)
In data 16 luglio 2015, la Corte di giustizia UE ha pronunciato la sentenza relativa alla causa C-653/13 relativa al mancato adempimento da parte dell’Italia di tutte le misure necessarie per conformarsi alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 4 marzo 2010, nella causa C-297/08.
La sentenza, condanna l’Italia al pagamento di una somma forfettaria di 20.000.000 euro e di una penalità di 120.000 euro per ciascun giorno di ritardo.
La sentenza verte sulla gestione del ciclo dei rifiuti nella regione Campania e prende in considerazione il numero insufficiente di impianti aventi capacità e caratteristiche idonee a soddisfare il fabbisogno regionale. Tocca solo marginalmente, invece, la questione delle cosiddette «ecoballe» stoccate nella regione Campania.
Occorre precisare che la questione del ciclo dei rifiuti è materia di competenza regionale. Il Ministero dell’ambiente ha, quindi, immediatamente provveduto a sollecitare alla regione Campania i dati richiesti dalla Corte di giustizia dell’Unione europea al punto 84 della sentenza. Tali dati, necessari per la determinazione della sanzione su base giornaliera, consentiranno alla Commissione europea di valutare lo stato di avanzamento delle misure di esecuzione della sentenza Commissione/Italia (C-297/08) rispetto alla capacità di trattamento dei rifiuti reputata ancora necessaria dalla Commissione per ciascuna categoria di impianti sulla base dei dati oggettivi messi a disposizione, a tal fine, dalla Repubblica italiana. La trasmissione dei dati richiesti avverrà nei termini indicati dalla Corte di giustizia.
Per quanto attiene alla questione dello smaltimento delle cosiddette «ecoballe», pur a fronte di una situazione di incertezza circa la titolarità delle stesse, si tratta di una emergenza ambientale che, si ritiene, non possa che essere affrontata a livello nazionale e nel minor tempo possibile.
Le ipotesi tecniche per lo smaltimento delle ecoballe, attualmente oggetto di un confronto con gli uffici della regione Campania e dell’Unione europea, sono:
1) realizzazione di un impianto di termovalorizzazione dedicato nel comune di Giugliano (NA), già oggetto della procedura di gara indetta dal Commissario ex articolo 1, comma 2, della legge n. 1 del 2011, e DPGR della regione Campania n. 55 del 27 febbraio 2012;
2) smaltimento presso impianti di termovalorizzazione esistenti in Italia e all’estero;
3) un approccio diversificato in rapporto alla dimensione del sito di stoccaggio. Per il sito più grande di Taverna del Re-Villa Literno, si ipotizza la messa in sicurezza permanente dei rifiuti in situ così come già avviene in Germania. Per i siti più piccoli, invece, si ipotizza la termovalorizzazione delle ecoballe in impianti già esistenti.