Intervista a cura di Liana Milella.
Lei, professoressa Lorenza Carlassare, come voterà il 20 settembre?
«Invidio le certezze di tanti su una questione complessa e con tante facce. Devo dire che ho molti dubbi: da un lato, come ho sempre detto, anche a Repubblica, giusto un anno, sono favorevole alla riduzione del numero dei parlamentari. Ritengo che ci possa essere maggiore efficienza, spero in una selezione più accurata delle candidature. Tuttavia resta il nodo della legge elettorale».
Lei dunque, come Zingaretti, pone una condizione imprescindibile per dire Sì?
«Quello che mi pare essenziale è tornare all’essenza della democrazia, nella quale la rappresentanza gioca un ruolo fondamentale. Quindi la legge elettorale non è indifferente, è il fondamento di tutto il sistema politico costituzionale».
Perché la ritiene una condizione necessaria?
«Una rappresentanza distorta, come quella che ci veniva fornita da leggi elettorali che la Corte Costituzionale ha bocciato, altera l’esito della consultazione elettorale e altera di conseguenza la democrazia. La volontà degli elettori non risulta in nessun modo rispettata e soprattutto risulta irrilevante. Inoltre essenziale è il problema della responsabilità politica».
La responsabilità di chi? Di chi viene eletto o di chi sceglie chi candidare?
«I maestri del diritto costituzionale ci hanno sempre insegnato che la rappresentanza politica non può dissociarsi dalla responsabilità politica. Verso chi? Evidentemente verso gli elettori. L’eletto è legittimato ad esercitare un potere che gli viene dal popolo solo se poi risponde a chi lo ha votato. Oggi questo pare del tutto dimenticato».
Sta criticando l’attuale legge elettorale?
«Proprio così. Se guardiamo alle leggi elettorali degli ultimi decenni vediamo che in realtà con le liste bloccate la scelta di chi sarà eletto è unicamente operata dalle indicazioni dei partiti. Ed è verso questi, dai quali dipende la loro carriera politica futura, che gli eletti si sentono responsabili. E sono quindi pronti ad assecondare ogni indicazione che venga a loro fornita, prescindendo completamente dal rapporto con gli elettori».
Ma se gli eletti fossero di meno?
«In questa situazione non conta tanto il numero dei parlamentari quanto il loro rapporto con gli elettori. Se non siamo rappresentati, se verso di noi non sentono alcuna responsabilità, di che democrazia stiamo parlando?»
Al voto mancano ormai venti giorni. Ritiene realistico approvare, anche solo in una Camera o anche solo in commissione Affari Costituzionali una nuova legge elettorale?
«Certamente no, e proprio da ciò vengono le incertezze. Tuttavia ritengo che se passasse il No, nulla verrebbe più cambiato. In particolare non verrebbe più cambiata la legge elettorale. Con il Sì ci resta almeno la speranza».
Quindi lei sta aprendo una porta al Sì?
«Sicuramente».