Seguiamo l’iter tortuoso di un disegno di legge che farebbe bene al nostro paese. Seguiamolo per capire come accade che nel lavoro alle Camere su un disegno di legge si riescano a far entrare tali e tanti interessi da renderlo imperfetto pur se necessario. Seguiamolo per capire come tra Camera e Senato si arenino le migliori intenzioni. Seguiamolo per capire come dovremmo essere coinvolti sempre, perché solo il nostro sguardo e la nostra attenzione possono davvero richiamare all’ordine chi lavora per noi e per nessun altro. E chiediamo, infine, ai parlamentari uno slancio di responsabilità perché dimostrino di sapere quali sono gli interessi che devono tutelare.Nel 1994 Legambiente pubblicò la prima edizione del Rapporto Ecomafia con l’obiettivo di inserire i reati ambientali nel codice penale. Dopo 21 anni i reati ambientali potrebbero entrare nel codice penale perché presenti in un disegno di legge promosso da tre partiti (Pd, M5S e Sel), approvato alla Camera in prima lettura il 26 febbraio 2014 e al Senato in seconda lettura il 4 marzo 2015 (dopo un’estenuante discussione fatta per 12 mesi nella commissione Giustizia presieduta dal senatore Nitto Palma di Forza Italia e nella Commissione ambiente presieduta dal senatore Ncd Marinello, entrambi contrari all’inserimento degli ecoreati nel codice penale). «Se la legge sugli ecoreati venisse approvata», riferisce Legambiente, «inquinamento, disastro ambientale, traffico di materiale radioattivo, omessa bonifica e impedimento del controllo, fino a oggi considerati reati contravvenzionali e quindi di natura minore, diventerebbero delitti da codice penale e quindi sanzionati adeguatamente per la loro gravità e contrastati in modo molto più efficace. I tempi di prescrizione si raddoppierebbero e si potrebbero utilizzare anche strumenti d’indagine efficaci come le intercettazioni e l’arresto in flagranza, propri solo dei delitti e non dei reati minori». Sarebbe una svolta dopo vent’anni di informazione e lotta.
Ma non è sempre tutto semplice come appare e soprattutto per bloccare un disegno di legge basta trovare un cavillo, solo uno – che poi spesso cavillo non è – perché tutto rischi di arenarsi. Nel passaggio al Senato del disegno di legge sui reati ambientali, il senatore di Fi Antonio D’Alì propone l’inserimento di un emendamento che stabilisce il divieto dell’uso dell’air gun (una tecnica di ispezione dei fondali marini ad aria compressa, molto controversa a livello internazionale per gli impatti su cetacei e pesca).
Tutto normale, uno slancio ambientalista e nulla più, se non fosse che l’air gun ha scatenato in modo evidente le preoccupazioni delle società energetiche e che tra gli ultimi emendamenti presentati in Commissione Giustizia della Camera ce n’è uno di Fi che prevede l’abrogazione del divieto dell’uso dell’air gun. Quindi D’Alì al Senato ne chiede il divieto e due suoi colleghi di partito, probabilmente in disaccordo, chiedono la fine del divieto in Commissione Giustizia della Camera.
Ora, la Caugli ecoreati verrà bloccato per tutelare le compagnie petrolifere, sarà l’ennesima dimostrazione che le persone chiamate a rappresentare i nostri interessi in realtà rappresentano unicamente quelli di chi può far loro favori e distribuire prebende. Ma se verrà bloccato sarà drammaticamente chiaro come funziona il Parlamento. Sarà evidente cosa accade lontano dai nostri occhi. E se questo accade ogni volta vuol dire che il percorso democratico, che il meccanismo democratico, si è inceppato.
Se quando puntiamo la lente di ingrandimento scorgiamo questo, quale fiducia resta? Quale fiducia anche in chi promette di voler cambiare tutto, ma alla prova dei fatti non riesce a comprendere le dinamiche di palazzo? Siamo in balia di politicanti di professione, siamo in balia di chi fa politica con cinismo. Di chi dà supporto alle ecomafie con una leggerezza criminale