Il Movimento Cinque Stelle è contrario a questo provvedimento di riforma costituzionale.
Riteniamo questa una scelta profondamente sbagliata e al tempo stesso pericolosa, perché come ha già avuto modo di dire l’insigne costituzionalista Alessandro Pace, quando il Parlamento deroga all’articolo 138 per procedere alla riforma costituzionale, è come se lo stesso Parlamento si auto collocasse al di fuori e al di sopra della Costituzione e questo non è assolutamente accettabile.
Essendo queste le premesse dalle quali partiamo è inevitabile che l’articolo 1 sia tra gli articoli di questo disegno di legge che suscita maggiormente il nostro dissenso, perché appunto istituisce quello che riteniamo lo strumento principale della deroga all’articolo 138, che è appunto il comitato bicamerale. In questo senso il Movimento 5 stelle ha presentato un emendamento interamente soppressivo dell’articolo, ed altri sugli aspetti dell’articolo che ci appaiono più critici.
Purtroppo le criticità che abbiamo riscontrato sono molteplici e a nostro avviso non riguardano solo la legge costituzionale, ma in alcuni casi vanno a cozzare contro principi e norme procedurali posti dai regolamenti delle due Camere.
Uno degli aspetti più fortemente negativi è quello di costituire un organo, quale è il comitato bicamerale appunto, che invece di essere una semplice commissione parlamentare alla quale pure vengono attribuite funzioni di rilievo, viene posto dalla legge in posizione gerarchica e funzionale che sembra quasi sovra ordinata alle rispettive assemblee di Camera e Senato.
Scongiureremo l’ipotesi, non residuale in questo caso, di trasformare una commissione bicamerale in una sorta di comitato di salute pubblica parlamentare, una setta ermeticamente chiusa a chi non ne fa parte e non facilmente accessibile ai circa 940 parlamentari che ne rimangono fuori.
In questo senso particolarmente negativi appaiono i commi 6 e 7 dell’articolo 1. Il comma 6 attribuisce un criterio di eccessiva rigidità alla composizione del comitato che da un lato è del tutto ingiustificato e irragionevole, e dall’altro non ha precedenti per quanto riguarda il normale funzionamento delle commissioni parlamentari.
Colleghi non so se ve ne siate resi conto e se, tanto meno, se ne sia reso conto il governo, ma con questa norma si potrebbero verificare una lunga serie di situazioni inaccettabili in se e per se, che lo divengono ancora di più nell’ottica della riforma costituzionale.
Primo esempio se un parlamentare dopo essere stato nominato componente del comitato decide di passare da un gruppo parlamentare ad un altro per ragioni politiche che nulla hanno a che vedere con le riforme costituzionali, si produce un danno irreparabile nei confronti del gruppo parlamentare che lo aveva indicato come rappresentante all’interno del comitato per le riforme. Quel gruppo vede menomata per sempre, e cioè fino al termine del processo di riforma costituzionale, e questo si configura come un’ingiustizia del tutto insensata.
L’altro aspetto critico è quello relativo al comma 7, colleghi. Il comma 7 prevede che i componenti del comitato che risultino assenti ai lavori delle rispettive aule perché impegnati nei lavori del comitato stesso non siano computati ai fini del numero legale.
Vorrei che fosse chiaro che la questione che stiamo ponendo non centra nulla con quella materiale relativa al fatto che i membri del comitato possano risultare in missione nelle rispettive aule. Il tema è un altro ed è eminentemente di principio, ovvero il principio che prevede che non ci possa essere sovrapposizione tra i lavori d’aula e quelli di un altro organo parlamentare. Principio espresso in maniera esplicita dal regolamento della Camera all’articolo 30 comma 5 il quale detta: Salvo autorizzazione espressa del presidente della Camera le commissioni non possono riunirsi nelle stesse ore nelle quali vi è seduta dell’assemblea. In relazione alle esigenze dei lavori di questa il Presidente della Camera può sempre revocare le convocazioni delle commissioni.
La proposta di legge va in senso opposto al principio di non sovrapposizione dei lavori. Questo oltre che una contravvenzione ai regolamenti parlamentari rischia di ledere anche un principio costituzionale attinente alle prerogative di deputati e senatori e al loro diritto-dovere di partecipare ai lavori, con votazioni o meno, delle rispettive assemblee. Anche in questo caso qual è il motivo che spinge a porsi in questa condizione? La risposta è che non ce n’è uno valido, ma siamo in presenza di una norma mal scritta e che come tale deve essere modificata.
Certamente è comprensibile che si voglia dare assoluta priorità al tema delle riforme, ma lo strumento più corretto non è certamente questo, ovvero rischiare di menomare le prerogative del singolo parlamentare, dei gruppi di appartenenza e della Camera e del Senato nel loro insieme, costringendole a lavorare con un numero di componenti inferiore a quello prescritto dalla costituzione.
Gli strumenti per procedere speditamente sono altri e consistono nel prevedere sedute del comitato nelle giornate di lunedì e venerdì, e/o al termine di ogni seduta pomeridiana delle rispettive assemblee. In alcuni casi potranno essere la Camera e il Senato a modellare i loro lavori sul calendario dei lavori del comitato, ma la strada non può e non deve essere quella che scaturirebbe dall’approvazione del comma 7.