La forma è sostanza. L’appuntamento nazionale che il Movimento 5 Stelle si è dato a Palermo il 24 e 25 settembre è stato qualcosa di fuori dall’ordinario, di “eccezionale”, che racconta di un mutamento sociale ed antropologico in atto nella società italiana, o almeno in una sua parte “rilevante”. Starebbe proprio in quest’aggettivo, “rilevante”, la differenza con la storia di altri partiti d’opposizione in Italia, che se da un lato hanno risposto all’esigenza di rappresentatività delle minoranze, dall’altro non si sono mai posti l’obiettivo di superare gli steccati in cui altri li avevano rinchiusi o in cui essi stessi si erano rifugiati. Non è neanche necessario toccare i contenuti per rendersi conto che la “pericolosità” del Movimento, per i partiti tradizionali, non è solo il frutto della qualità delle sue proposte politiche ma soprattutto delle particolari modalità di partecipazione politica.
Cercherò di raccontare per punti quanto ho visto e le riflessioni che ne sono seguite.
LA PARTECIPAZIONE. I ragionieri delle cifre possono fare la lotta per anni (100mila? 50 mila? 4 gatti?), ma il dato veramente significativo è che il prato del Foro Italico era gremito di persone, come se fosse il giorno del Festino di Santa Rosalia, patrona della città, o il “grande evento” della visita di Papa Benedetto nel 2010. Ma se in quei casi era la fede a muovere le masse (o la qualità dei gruppi musicali proposti alla fine del Festino), in questo caso era palpabile la voglia di partecipazione politica. Nel capoluogo siciliano in quei giorni era difficile trovare posto in albergo e qualcuno ci ha anche speculato alzando i prezzi, e basterebbe questo indicatore per dirci che, al di là dei dati forniti dalla questura o da qualche organo di stampa, a riempire alberghi e b&b erano persone in carne ed ossa e non profili facebook o troll esaltati. Famiglie venute in autobus da Cosenza con figli al seguito, attivisti friulani che hanno preso l’aereo per venire sino a Palermo, signore ultraottantenni venute dalla Capitale, gruppi di ragazzi scesi dalla Puglia in auto. E tanti siciliani allettati dalla prospettiva di trasformare la Sicilia nella prima regione a guida pentastellata.
Giusto per avere un termine di paragone, è impossibile non pensare alle Feste dell’Unità nazionali, dove i discorsi dei leader (segretario di partito e dirigenti o ministri nel caso di centrosinistra al governo) sono seguiti da una minoranza esigua delle persone che visitano la festa. Cifre a due zeri o a tre quando va bene, ma non certo a 4 zeri come nel caso della kermesse dei 5 stelle a Palermo. Diciamocelo senza ipocrisie, alle feste del PD i più vanno per comprare qualcosa agli stand o mangiare la salamella o ascoltare il gruppo musicale di grido a fine giornata. Sino ad arrivare ad esperienze “stellari” come l’aver invitato (indebitando il partito) quest’anno il capitano Kirk di Star Trek a Bologna per cercare di attirare gente.
Ma il dato più interessante è un altro. Chiunque sia stato al Foro Italico il 24 e il 25 settembre avrà notato che durante i pochi intermezzi musicali molta gente si allontanava dal parco centrale lasciando dei buchi che permettevano ai più pazienti di sedersi e riposarsi un po’. Quando poi tornavano sul palco gli oratori (e ciò vale non solo per i “big” del partito, ma anche per i meno noti parlamentari o i consiglieri regionali) la gente tornava in massa ad avvicinarsi al palco. Questi spostamenti dimostravano che quella gente era lì per ascoltare qualcosa di politico e non per distrarsi una serata. Non mi sembra una differenza da poco.
L’ASCOLTO. Molta gente ha partecipato a questa due giorni non solo per ascoltare, ma per farsi ascoltare. E gli amministratori locali, i consiglieri regionali e i parlamentari del Movimento 5 Stelle non si sono lasciati sfuggire questa occasione.
Decine di dibattiti molto partecipati sui temi più disparati – dall’immigrazione alle politiche energetiche, dalla lotta alla mafia in giacca e cravatta alle proposte su scuola e università- hanno consentito a migliaia di persone di avere un’idea su quello che il Movimento 5 Stelle propone. Per alcuni di loro è stata una formazione di base, per altri un’occasione per colmare delle lacune, per altri ancora la possibilità di essere ascoltati. I relatori non stavano seduti dietro a un tavolo, ma in piedi, spesso in mezzo alla gente, quasi a voler annullare la distanza fra chi parla e chi ascolta.
Ma i momenti di confronto tra politici e cittadini continuavano sul prato o su via Messina Marine dove anche i parlamentari giravano tranquillamente senza scorta, senza un codazzo di questuanti, senza preoccupazione, come se fossimo in un qualunque paese europeo. Non c’erano favori da chiedere. Non c’era gente incazzata che rimproverava loro di aver rubato . Praticamente un film inedito (o quasi) in Italia.
IL MODELLO. Il partito liquido immaginato da Veltroni ha fallito. I vertici sono sempre più distanti dalla base che spesso non comprende le scelte della direzione e che talvolta vengono contestate con forza anche in occasioni pubbliche. Quel liquido sembra stagnare ormai da tempo, come in una palude. Al contrario, nel Movimento 5 Stelle si fondono due modelli diversi. Il primo lo definirei “gassoso”, impalpabile, che trova il suo riferimento nella rete e nelle sue dinamiche di aggregazione e comunicazione. Un modello in costante evoluzione che trova nel sistema operativo Rousseau una sorta di agorà virtuale che permette di scegliere i candidati, proporre delle iniziative legislative, capire come funzionano le istituzioni. Il secondo modello è invece quello “solido”, che trova i suoi riferimenti nell’esperienza associativa dei partiti di sinistra fino agli anni ’80 del secolo scorso. I due modelli non sono alternativi, ma complementari. Riescono cioè a dare energia alla stessa macchina come se fosse alimentata da un motore ibrido.
La spinta maggiore viene dai più giovani che usano le nuove tecnologie, ma attraverso il passaparola e la comunicazione faccia a faccia si riescono a muovere anche quelle fette di popolazione che normalmente non hanno molta confidenza con internet, come gli ultrasettantenni, che certamente non erano assenti alla kermesse di Palermo.
IL SERVIZIO. Centinaia di volontari hanno reso possibile l’evento dando informazioni al pubblico e permettendo al prato del Foro Italico di non trasformarsi in un’immensa discarica di immondizia come succede ogni anno dopo il Festino o in una distesa di bottigliette d’acqua come è successo dopo la visita del Papa. L’acqua potabile era disponibile per tutti grazie a un sistema di filtraggio e distribuzione ma bisognava arrivare con una bottiglia acquistata altrove, ad esempio nei bar a qualche centinaio di metri e poi la si riutilizzava più volte. Risultato: un numero infinitamente minore di bottiglie in circolazione e nessuna per terra. Per quanto riguarda l’immondizia in genere, la gestione del servizio, sempre affidata ai volontari, è stata qualcosa che spero i palermitani non dimenticheranno. Accanto ai numerosi punti per la raccolta differenziata c’era sempre un volontario che dava informazioni ai cittadini su quale cassonetto utilizzare per smaltire le cicche o le vaschette d’alluminio o i bicchieri di plastica.
In qualche modo non solo è stato garantito un servizio efficiente ma si è anche fatta educazione sul corretto smaltimento dei rifiuti. Per finire, c’erano numerosi volontari occupati a raccogliere quei rifiuti che “sfuggivano” ai cassonetti. Risultato finale: tutto era pulito “in diretta”, attimo per attimo, e il prato non ha sofferto neanche per i mozziconi di sigaretta. Riflessione finale: ho sempre ammirato gli “anziani” volontari delle feste dell’Unità, ricordo con affetto quelli di Bologna nel 2007 che preparavano da mangiare e pulivano e accoglievano tutti con un sorriso, ma spesso sottolineavano che i giovani non volevano saperne di seguire il loro esempio, e non era difficile cogliere nella loro voglia di partecipazione un senso di nostalgia per quel che il PCI aveva rappresentato nella loro vita. A Palermo invece ho visto dei giovani volontari, certamente con meno esperienza e meno lotte alle spalle, ma ho avuto la sensazione che fossero animati da un desiderio di cambiamento, dalla speranza di poter contribuire a qualcosa di giusto che deve ancora arrivare. Altro che il “tutto nero” che viene rappresentato dai tanti commentatori professionisti. Il “no future” è altrove.
Gianpiero Caldarella (testo e foto)