La seconda sfida ambientale dopo l’emergenza climatica: non è ormai più possibile inquadrare il litter in mare come una problematica circoscritta alla salute delle acque del nostro pianeta visto che plastica e inquinamento, specie in anni recenti, vanno a braccetto mettendo a rischio la salute dei biomi terrestri – quello marino in primis – andando peraltro a inficiare sulla sopravvivenza di ecosistemi fondamentali. Anche per questo, nell’ultimissimo periodo, numerosi comuni litoranei hanno sviluppato la strategia “plastic free”, applicando una normativa mirata all’eliminazione della plastica nell’uso quotidiano in una sorta di azione preventiva per evitare che tali rifiuti finiscano in mare. Nel mirino, intanto, finiscono anche gli oggetti in plastica usa e getta sulle spiagge, che si punta a eliminare del tutto entro il 2021. La mission è il comune denominatore: tutelare le aree marine, non solo quelle protette, utilizzando come base i dati di classificazione dei rifiuti raccolti nel progetto di ricerca congiunta MedSeaLitter (finanziato con 2 milioni dall’Unione europea e con partenariato da parte di importanti associazioni ambientaliste, tra le quali Legambiente e Ass Medasset) e sviluppando da lì un piano salva-mare in collaborazione con i comuni delle fasce costiere.
Ricerca e azione In un contesto di sempre crescente diffusione dei rifiuti plastici in mare, il passo successivo sarà riservare un’attenzione particolare alla presenza in acqua delle microplastiche che, secondo la recente ricerca della Newcastle University, in Australia, rappresenta una delle minacce più urgenti: secondo quanto appurato dai ricercatori, infatti, frammenti di microplastica potrebbero essere ingeriti da un essere umano per una quantità di circa 5 grammi ogni settimana.
Al momento, il progetto MedSeaLitter (condotto dall’Italia assieme a Grecia, Spagna e Francia) tiene in considerazione i risultati ottenuti da un monitoraggio complessivo su 20 mila chilometri di transetti marini, per un totale di 6500 rifiuti individuati e classificati, perlopiù derivati della pesca ma, in larga misura, anche da altre attività umane. Numeri importanti che rendono l’idea di come la sfida delle plastiche in mare necessiti di un’attenzione che nella ricerca possa vedere il suo punto di partenza, anche considerando, come spiegato da Beatrice Covassi, capo della Rappresentanza in Italia della Commissione europea, “la forte presa di coscienza collettiva che si misura in aspettative maggiori”.
In sostanza, la sfida della sensibilizzazione ha portato all’inquadramento del problema. Ora starà all’interazione fra amministrazioni riuscire a sviluppare politiche sostenibili che vadano a combinare turismo ed eliminazione dei rifiuti plastici, strategia già applicata in alcuni comuni premiati peraltro con le vele di Touring Club durante la seconda giornata del convegno MedSeaLitter a Villa Celimontana.
Micillo: “Serve ascolto per i piccoli comuni” Da chi le vele le ha già spiegate, a chi dovrà affrontare la dura sfida del doverle spiegare, superando le difficoltà, spesso drammatiche, dovute al devastante impatto dei disastri ambientali. Casi per i quali la strategia, prima che operativa, è innanzitutto quella dell’ascolto: “Io provengo da quel disastro ambientale – ha spiegato a In Terris dal sottosegretario al Ministero dell’Ambiente, Salvatore Micillo -, sono della zona di Giugliano, che è l’epicentro della terra dei fuochi, sul mio territorio ci sono 70 discariche, c’è la Resit che è considerata una delle più grandi. Parlare di resilienza in quei territori significa che, mentre qui parliamo di cinque vele, ci sono delle zone che forse queste vele non le vedranno mai. La grande sfida è far riemergere quei territori, perché è più facile parlare di chi ha già le ali spiegate, molto più difficile permettere ad altri di alzare la testa e di poter concepire il territorio in maniera diversa”.
Ascolto ma anche piani d’intervento: “Iniziamo dalle bonifiche. Anche lì abbiamo detto che le infrazioni europee finalmente stanno uscendo sia sulla strategia marina sia sulle bonifiche ambientali. Molte sono le infrazioni a livello comunitario: la Campania ad esempio paga 120 mila euro al giorno. Parlare di questo significa voler mettere in piedi un territorio e sanarlo, anche dal punto di vista del dissesto idrogeologico: 11 miliardi investiti dal Ministero dell’Ambiente, dalla presidenza del Consiglio e dal Ministero del Sud per mettere in sicurezza certi territori. E a quei piccoli comuni che purtroppo non hanno le competenze per mettere insieme un sistema di messa in sicurezza del territorio, il Ministero mette a disposizione anche i propri esperti, oltre ai fondi, per mettere l’ambiente finalmente al centro del dibattito, parlamentare prima e comunale poi”.
Fonte: interris.it
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